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Maria Teresa Sega, La storia scritta con la luce. La fotografia come fonte  

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UNA STORIA DELLO SGUARDO

 Ma dopo aver affermato che tutte le fotografie sono potenzialmente documento occorre tornare alla definizione di fotografia e chiedersi che cosa essa ci "dice" di un fatto, di un evento, di una persona. Quale tempo e quale spazio ci restituisce? Un'immagine fotografica è un frammento di una realtà più complessa che viene fissato nel momento stesso in cui accade, sottratto al cambiamento, al movimento, al divenire storico. Quello che ci restituisce è un tempo fisso, immobile, appiattito sull'attimo, significativo non in quanto parte di un processo ma per sé. Per questo si afferma che la fotografia registra non tanto una presenza, quanto un'assenza. Che cosa rappresenta infatti l'attimo, che valore epistemologico può avere rispetto alla complessità del reale?
Walter Benjamin, con una intuizione illuminante, ci ha fatto capire come questa proprietà della fotografia di scomporre e fissare il movimento ci riveli il nostro "inconscio ottico", ci faccia vedere ciò che non vediamo quando osserviamo ad esempio un uomo che cammina, ma che è presente inconsciamente. "La natura che parla alla macchina fotografica è infatti una natura diversa da quella che parla all'occhio; diversa specialmente per questo, che al posto di uno spazio elaborato consapevolmente dall'uomo, c'è uno spazio elaborato inconsciamente". Uno spazio e un tempo artificiali, che non esistono nella realtà: la macchina fotografica infatti scompone l'unità del reale in una serie infinita di immagini parziali. Quello fotografico è un vero e proprio paradigma di organizzazione dei dati del reale per la sua conoscenza, e particolarmente per la conoscenza storica poiché nel momento stesso in cui viene registrato l'evento appartiene gita al passato.
La velocità con cui scorrono gli avvenimenti fa nascere in noi un bisogno di fermare questo fluire continuo e fissarlo in un oggetto per comprenderlo. Che cosa facciamo, catturando quest'attimo, se non immobilizzare il tempo e vincere l'angoscia della inesorabile perdita delle cose?
All'immagine unitaria e sintetica delle tecniche pittoriche manuali la fotografia ha sostituito una serie infinita di immagini parziali che ha frammentato la conoscenza rendendo difficile la comprensione. La pretesa della fotografia di catalogare il mondo si traduce nella afasia della ridondanza. Ma il nostro bisogno di vedere e memorizzare ci porta a individuare alcune immagini sintetiche ed emblematiche e ad attribuire loro valore di simbolo. La fotografia crea corrispondenze non solo analogiche ma anche metaforiche e metonimiche tra immagine e realtà, concentrando il massimo di significato in un'unica immagine. Poiché non può restituire un gesto, un movimento, un evento, nella sua interezza, essa cercherà di coglierlo nel suo momento più significativo, cioè che possa riassumere in sé l'intero.
Questo processo di simbolizzazione del reale ha modificato il nostro modo di vivere lo spazio e il tempo. Per quanto riguarda lo spazio se una certa fotografia, come la fotografia aerea e spaziale, ha fornito importanti strumenti conoscitivi permettendoci di vedere l'invisibile, in generale la fotografia ci dà - così afferma Turri - un paesaggio "artificiosamente ricreato, imprigionato in una dimensione avulsa da quella vera, privato di ogni possibile senso di 'presenza' che non sta quella interiore, fantastica di chi la fotografia osservi"; e questo perché frantuma il paesaggio che è ''un organismo vivo, che vive di relazioni tra elemento ed elemento". Gli apporti maggiori infatti ci vengono da un tipo di immagine, ricordata sopra, più sintetica che analitica. In quanto strumento di informazione e rappresentazione del territorio la fotografia contribuisce a modificarne il significato e il senso, fino a farci confondere visione e realtà, soggettività e oggettività e impedendoci, alla fine, di vedere.
La fotografia infatti può essere separata dal contesto originario e inserita in altri all'interno dei quali assume valori diversi, in particolare quello estetico, che annullano la sua relatività spazio-temporale. "Poiché - come dice Sontag -ogni fotografia è soltanto un frammento, il suo peso morale ed emotivo dipende da dove viene inserita."
Così il tempo, fissato nell'immagine, scompare nella sua unità di movimento ininterrotto e viene artificiosamente ri-creato a posteriori, avulso dal contesto che ne fornisce gli elementi di comprensione. La fotografia ci aiuta a "star fuori" dallo spazio e dal tempo, a osservarli con sguardo esterno, a manipolarli e adattarli ai nostri bisogni. Ma se dal di fuori indubbiamente si colgono delle cose, si perde anche la globalità della conoscenza che collega le cose tra loro e, perdendo di vista i criteri che hanno ispirato la selezione e la separazione, si produce la distorsione tipica della fotografia che enfatizza il particolare attribuendogli valore di generale.
Perché vi sia conoscenza ci deve essere un processo di semplificazione e riduzione a modello del reale per renderlo leggibile. Ma occorre avere consapevolezza di tale processo che risponde a paradigmi conoscitivi codificati. La fotografia può essere recuperata come documento nella prospettiva descritta sopra, per una storia cioè dello sguardo, del particolare rapporto tra l'uomo e il reale che ha prodotto la visione fotografica.



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