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UNA STORIA
DELLO SGUARDO
Ma dopo aver affermato
che tutte le fotografie sono potenzialmente documento occorre tornare alla
definizione di fotografia e chiedersi che cosa essa ci "dice" di
un fatto, di un evento, di una persona. Quale tempo e quale spazio ci
restituisce? Un'immagine fotografica è un frammento di una realtà più
complessa che viene fissato nel momento stesso in cui accade, sottratto al
cambiamento, al movimento, al divenire storico. Quello che ci restituisce
è un tempo fisso, immobile, appiattito sull'attimo, significativo non in
quanto parte di un processo ma per sé. Per questo si afferma che la
fotografia registra non tanto una presenza, quanto un'assenza. Che cosa
rappresenta infatti l'attimo, che valore epistemologico può avere rispetto
alla complessità del reale?
Walter Benjamin, con una intuizione illuminante, ci ha fatto capire come
questa proprietà della fotografia di scomporre e fissare il movimento ci
riveli il nostro "inconscio ottico", ci faccia vedere ciò che
non vediamo quando osserviamo ad esempio un uomo che cammina, ma che è
presente inconsciamente. "La natura che parla alla macchina
fotografica è infatti una natura diversa da quella che parla all'occhio;
diversa specialmente per questo, che al posto di uno spazio elaborato
consapevolmente dall'uomo, c'è uno spazio elaborato inconsciamente".
Uno spazio e un tempo artificiali, che non esistono nella realtà: la
macchina fotografica infatti scompone l'unità del reale in una serie
infinita di immagini parziali. Quello fotografico è un vero e
proprio paradigma di organizzazione dei dati del reale per la sua
conoscenza, e particolarmente per la conoscenza storica poiché nel momento
stesso in cui viene registrato l'evento appartiene gita al passato.
La velocità con cui scorrono gli avvenimenti fa nascere in noi un bisogno
di fermare questo fluire continuo e fissarlo in un oggetto per
comprenderlo. Che cosa facciamo, catturando quest'attimo, se non
immobilizzare il tempo e vincere l'angoscia della inesorabile perdita delle
cose?
All'immagine unitaria e sintetica delle tecniche pittoriche manuali la
fotografia ha sostituito una serie infinita di immagini parziali che ha
frammentato la conoscenza rendendo difficile la comprensione. La pretesa
della fotografia di catalogare il mondo si traduce nella afasia della
ridondanza. Ma il nostro bisogno di vedere e memorizzare ci porta a
individuare alcune immagini sintetiche ed emblematiche e ad attribuire loro
valore di simbolo. La fotografia crea corrispondenze non solo analogiche ma
anche metaforiche e metonimiche tra immagine e realtà, concentrando il
massimo di significato in un'unica immagine. Poiché non può restituire un
gesto, un movimento, un evento, nella sua interezza, essa cercherà di
coglierlo nel suo momento più significativo, cioè che possa riassumere in
sé l'intero.
Questo processo di simbolizzazione del reale ha modificato il nostro modo
di vivere lo spazio e il tempo. Per quanto riguarda lo spazio se una certa
fotografia, come la fotografia aerea e spaziale, ha fornito importanti
strumenti conoscitivi permettendoci di vedere l'invisibile, in generale la
fotografia ci dà - così afferma Turri - un paesaggio
"artificiosamente ricreato, imprigionato in una dimensione avulsa da
quella vera, privato di ogni possibile senso di 'presenza' che non sta
quella interiore, fantastica di chi la fotografia osservi"; e questo
perché frantuma il paesaggio che è ''un organismo vivo, che vive di
relazioni tra elemento ed elemento". Gli apporti maggiori infatti ci
vengono da un tipo di immagine, ricordata sopra, più sintetica che
analitica. In quanto strumento di informazione e rappresentazione del
territorio la fotografia contribuisce a modificarne il significato e il
senso, fino a farci confondere visione e realtà, soggettività e
oggettività e impedendoci, alla fine, di vedere.
La fotografia infatti può essere separata dal contesto originario e
inserita in altri all'interno dei quali assume valori diversi, in
particolare quello estetico, che annullano la sua relatività
spazio-temporale. "Poiché - come dice Sontag -ogni fotografia è
soltanto un frammento, il suo peso morale ed emotivo dipende da dove viene
inserita."
Così il tempo, fissato nell'immagine, scompare nella sua unità di
movimento ininterrotto e viene artificiosamente ri-creato a posteriori, avulso
dal contesto che ne fornisce gli elementi di comprensione. La fotografia ci
aiuta a "star fuori" dallo spazio e dal tempo, a osservarli con
sguardo esterno, a manipolarli e adattarli ai nostri bisogni. Ma se dal di
fuori indubbiamente si colgono delle cose, si perde anche la globalità
della conoscenza che collega le cose tra loro e, perdendo di vista i
criteri che hanno ispirato la selezione e la separazione, si produce la
distorsione tipica della fotografia che enfatizza il particolare
attribuendogli valore di generale.
Perché vi sia conoscenza ci deve essere un processo di semplificazione e
riduzione a modello del reale per renderlo leggibile. Ma occorre avere
consapevolezza di tale processo che risponde a paradigmi conoscitivi
codificati. La fotografia può essere recuperata come documento nella
prospettiva descritta sopra, per una storia cioè dello sguardo, del
particolare rapporto tra l'uomo e il reale che ha prodotto la visione
fotografica.
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