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LAVORO INDIVIDUALE, LAVORO COLLETTIVO

Rileggendo quanto finora ho scritto, credo di aver dato l’impressione che ogni singola unità di lavoro abbia una durata insostenibile per i ristretti tempi della scuola. Non è così. In genere Si può contenere un singolo argomento intorno alle tre ore: al di sotto, sarebbe troppo compresso, al di sopra stancherebbe . Parlo naturalmente delle situazioni in cui le classi escono dalla loro scuola per recarsi in un laboratorio esterno, come il mio. Nei casi in cui il laboratorio è un’aula speciale della stessa scuola, si può suddividere il lavoro in più giorni, lasciando sempre aperta una domanda importante fra un incontro e l’altro, per non lasciar cadere la tensione conoscitiva. Anche in questo caso, comunque, bisogna non superare di molto la soglia delle tre o quattro ore complessive perché potremmo cedere alla tentazione di accumulare troppo materiale entro percorsi troppo lunghi disperdendo la capacità che questo tipo di attività didattica possiede, di incidere sulla formazione del famoso, quanto mai definito "senso critico". Sono più utili a questo fine più unità su argomenti diversi che grandi lavori interminabili su un solo tema. Almeno, questa è la valutazione che posso dare dell’esperienza (e degli errori) che ho fatto.
Bisogna prevedere i tempi per ogni singola fase del lavoro, comunicarli ai ragazzi e farli rispettare. Le operazioni da compiere devono essere chiaramente spiegate in modo sintetico, per quel che basta a compierle e nel loro significato rispetto al percorso che, indicato all’inizio, si andrà sviluppando nelle sue implicazioni lavorando e non ascoltando prolisse delucidazioni. Gli insegnanti che tendono a dilungarsi sono quelli che sono essi stessi incerti sull’intero progetto di lavoro.
I compiti operativi assegnati individualmente devono prevedere un minimo ed un massimo di resa didattica: i più lenti raccoglieranno meno dati, scriveranno di meno, costruiranno schemi più approssimativi, ma dovranno comunque eseguire il loro compito portando alla costruzione collettiva la loro scheggia di lavoro. I più capaci forniranno più elementi, compariranno percorsi più complessi e più lunghi, ma ciò che importa è il fatto che complessivamente si riesca a portare a termine quello che è stato stabilito. Non occorre attendere che tutti abbiano raggiunto, nelle fasi intermedie, lo stesso standard di produttività. Quel che conta è che tutti giungano alla verifica finale in grado di rivedere, ampliandole o correggendole o perfezionandole, le posizioni iniziali; e che tutti siano in grado di trasferire nel quotidiano scolastico più sapere, più saper fare.
Ciò si può ottenere calibrando bene le fasi del lavoro individuale, di quello di gruppo, di quello collettivo. E, come in tutti i laboratori, una buona divisione del lavoro è anche un opportuno economizzatore del tempo.
In linea di massima si può anche dire che un laboratorio di questo tipo è anche un luogo in cui si passa dalla singolarità della produzione scolastica personale alla costruzione di forma minime di sapere sociale. In esso ci sono momenti di riflessione individuale, di lettura ed osservazione di elementi dati, di scrittura ed elaborazione, di verifiche autonome sul proprio percorso in cui ognuno prepara da solo il suo piccolo apporto al lavoro di tutti.
Quando però si valutano i percorsi di ricerca si discutono le difficoltà, si confrontono le tesi, allora è indispensabile il coinvolgimento di tutti. Costruire una traccia visibile in quei momenti è per l’insegnante, s’è già detto, un modo di scandire i tempi senza opprimere, di controllare la pertinenza delle osservazioni senza dettare legge, di evitare scantonamenti senza escludere alcuno. E di insegnare, senza dirlo, come si costruiscono grafici di vario tipo.
Il lavoro di gruppo serve in altre fasi del lavoro. Ho già parlato dell’analisi condotta su griglie che aiutano a smontare i vari pezzi di un insieme conoscitivo. Ciò rende indispensabile affidare parti diverse del lavoro ai gruppi. In genere o si assegna ad ogni gruppo lo stesso lavoro, la stessa ricerca o si diversificano i compiti in modo però che ognuno sia autosufficiente dal punto di vista conoscitivo. In questo caso no. Immaginiamo di usare il modello selettivo orizzontale, di applicare cioè la griglia-base su un argomento complesso ma unitario, ad esempio la struttura di un determinato feudo. Un gruppo definirà le caratteristiche dl territorio, un altro rivelerà la composizione sociale, e così via. Nessuno sarà in grado, da solo, di rispondere alla domanda che si è posta, ma l’apporto di ognuno sarà indispensabile per individuare gli elementi necessari. Quando i gruppi avranno esposto ognuno la propria parte di lavoro a voce, e con schemi descrittivi, allora si potrà procedere alla vera e propria elaborazione della risposta attraverso la "lettura trasversale" dei dati, connettendo tra loro punti diversi dei vari schemi. Non capiterà certo che un gruppo, pago del suo sforzo, si disinteresserà di quelli altrui, ma sarà costretto, per poter procedere, a dare ed a chiedere spiegazioni, imparando in fretta ciò che gli altri hanno trovato, e sforzandosi di essere chiaro nell’esposizione perché gli altri possano apprendere.
Nel caso di un evento, ogni gruppo può eseguire ad esempio la partecipazione di un solo protagonista, singolo o collettivo, ma dovrà poi farlo interagire con gli altri nella fase della ricostruzione globale. In questo modo lavori anche molto complicati possono essere eseguiti accellerando il tempo dell’elaborazione complessiva ma, soprattutto, fornendo ai ragazzi una chiave per comprenderne il significato.


 

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