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I GIOVANI DEPRIVATI
DI FUTURO
Il presente è
sentito dai giovani come gravido di insicurezza e a volte di angoscia, e
diviene un limite invalicabile per la riflessione storica. Nell'orizzonte
piatto e monotono del presente, privo di scansione storica del passato, ai
giovani viene a marcare anche la progettualità del futuro. Dicono bene
Nadia Baiesi e Elda Guerra ( 1997), commentando una ricerca condotta dal
Laboratorio Nazionale di Didattica della storia su un campione di giovani:
E allora forse dovremmo dire che se è vero che senza
memoria non è possibile pensare al futuro, è altrettanto vero che senza
futuro - senza il progetto senza lo slancio senza l'accettazione del
rischio calcolato - non ci può essere passato, perché non sopravvive il
desiderio di guardarsi indietro e di costruire una continuità, di
partecipare al farsi della storia.
Quindi si può anche rovesciare il discorso e dire che i giovani, più
che essere deprivati di passato, sono deprivati di futuro. L'adolescente
è, per sua natura immerso nel presente, :ma fino alle generazioni degli
anni '80, voleva fortemente immaginarsi il futuro, mentre le generazioni
attuali, sentendosi marginali nel presente conprospettive di lavoro scarse
e posticipate nel tempo, non riescono a proiettarsi al di là della
circoscritta dimensione esistenziale.
Non si tratta certo di ritenere i giovani responsabili e colpevoli di
questa loro estraneità dalla storia, che semmai è diretta conseguenza
del contesto culturale e politico, quanto di avere ben presente
l'atteggiamento diffuso degli studenti verso la storia.
Analizziamo dunque, meglio la situazione, tenendo conto che la scuola non
è l'unica agenzia formativa e forse non è la più importante.
I media forniscono un'enorme quantità di notizie, ma con un livello
minimo di complessità. La notizia viene data in modo immediato, senza
spessore e soprattutto priva della pluralità delle interconnessioni,
utili per formare la rappresentazione della storia. Dal punto di vista
informativo, i media hanno, in larga parte, il monopolio non solo
dell'informazione in diretta, ma anche del racconto degli avvenimenti
storici, come dichiarano molti dei ragazzi intervistati per la ricerca del
LANDIS, citata prima.
Viene comunicato il contenuto spettacolare ed emotivo dell'evento, senza
il contesto di riferimento, senza dare significanza dell'avvenimento nel continuum
storico. Inoltre lo spettatore interiorizza una partecipazione passiva e
rimane privo di strumenti critici di interpretazione della complessità
storica. E c'è ancora un effetto speciale da considerare: i media rendono
lo spettacolo del fatto storico più efficace della stessa realtà,
emotivamente più coinvolgente, ma, allo stesso tempo, estraniano quel
fatto rappresentato dalle singole esperienze soggettive.
Cioè i media fanno informazione in assenza di storia, con stili
conoscitivi diversi da quelli storici, alimentando di fatto, come scrive
Tabboni, un'amnesia collettiva.
Gli studenti sono quindi bombardati da migliaia di notizie in diretta, ma
privati di strumenti intellettuali che consentano loro di formarsi le
categorie logico-formali del pensiero, per superare la visione egocentrica
e elaborare, quindi, una concezione della storia.
Per giungere alla formazione della coscienza del tempo, si deve costruire
la capacità di sintesi tra momenti del passato/presente/futuro e la
rappresentazione mentale degli eventi, che è compito specifico dello
studio della storia.
Condurre gli studenti ad orientarsi nella dimensione storica e a
comprendere la dinamica dei processi sociali e culturali significa, prima
di tutto, dare loro gli strumenti per orientarsi nel flusso processuale
del presente, attualizzando nel contempo, il passato con domande derivate
dalla propria sensibilità degli eventi.
Per ristabilire il rapporto tra i giovani e la storia bisogna che la
scuola si interroghi sul presente, sulle stesse forme di esperienza dei
giovani, perché la storia entri nella loro dimensione emotiva e
intellettuale di vita.
Lo studio della storia deve tracciare una mappa della contemporaneità:
individuare rilevanze, nessi, intrecci, sviluppi dialettici tra le diverse
componenti socio-economiche, politiche, culturali, al fine di comprendere
fenomeni di lunga durata ed eventi di breve periodo.
I giovani, intervistati dal LANDIS, definiscono il XX secolo come una
guerra continua, esprimendo, per esempio, una visione ciclica della
storia, che vanifica le volontà individuale e collettiva di cambiamento.
Essi si sentono, dunque, testimoni e vittime della storia, non attori di
possibili trasformazioni future. Così, mentre il loro spazio è
potenzialmente globale ed infinito, essi preferiscono attenersi al vicino,
rifiutando l'imprevedibilità del lontano. Non hanno fiducia nel
progresso, che è diventato un valore ambivalente e contraddittorio.
Vivere nel presente per i ragazzi vuol anche dire vivere nel vortice
sempre più accelerato del cambiamento, che è, per definizione,
confusione. Compito della storia dovrebbe essere quello di mettere ordine
in quella complessità fluida e indecifrabile.
Il cambiamento, accelerato e confuso, è parola-chiave nel mondo attuale,
con cui devono misurarsi tutte le generazioni. Come vivono i docenti il
cambiamento: come perdita di valori, di sicurezze, di concezioni
consolidate o con curiosità e attesa positiva? E come lo Vivono i
giovani: con indifferenza, estraneità, disorientamento, paura? Per
insegnare la storia contemporanea dobbiamo fare i conti con la categoria
del cambiamento, perché prendere coscienza del cambiamento è un
prerequisito per orientarsi nel presente e quindi per stabilire
connessioni con passato e futuro.
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