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I DOCENTI E LA STORIA
Ragionando sulla necessità di
una nuova metodologia dell'insegnamento e di una nuova impostazione della
didattica della storia, viene spontanea la domanda di quale sia il senso
della storia e quale la valutazione della disciplina da parte dei docenti.
Un primo dato da evidenziare è che l'insegnante di storia insegna
anche un'altra materia, che ha, nella norma, uno spazio orario più
esteso di quello destinato alla storia, e quindi risulta di fatto più
importante per la preparazione professionale del docente e anche più
rilevante, nell'economia scolastica complessiva, agli occhi degli studenti.
La storia diventa spesso una materia complementare, a cui non si dedica
particolare attenzione ed impegno di aggiornamento.
Nel maggio del 1989 l'Istituto di Alessandria ha condotto una ricerca
sull'insieme degli insegnanti (720) di storia nella scuola media di primo
e secondo grado della provincia di Alessandria (Ziruolo, 1994). Hanno risposto
588 docenti (363 della scuoia inferiore e 179 della scuola superiore) a un
questionario, piuttosto impegnativo, formato da 62 domande con 138
variabili.
Quel questionario è stato rielaborato, con l'inserimento di nuove
domande, e sottoposto, nell'anno scolastico 1993-1994, a un campione
rappresentativo di insegnanti della scuola superiore della provincia
dall'Istituto di Reggio Emilia (246 risposte), (Grazioli, 1997).
Comparando le due ricerche, condotte a cinque anni di distanza l'una dall'altra,
si ricavano spunti interessanti per una migliore conoscenza del rapporto
tra gli insegnanti e la storia, prima del decreto del Ministro Berlinguer
(4.11.96).
La maggioranza dei docenti si dichiara abbastanza soddisfatta dei programmi
in vigore e i docenti del triennio rimangono molto fedeli a una concezione
di storia generale in sequenza cronologica. È' diffusa, però,
la preoccupazione che il linguaggio storiografico non risulti chiaro agli
studenti e che la storia sia materia difficile da insegnare.
Risulta, quindi, che spesso gli stridenti hanno difficoltà ad apprendere
e non si può non mettere in relazione questa risposta con la dimostrata
estraneità dei giovani rispetto al sapere storico.
Nonostante il manuale sia spesso scritto in linguaggio non facilmente
comprensibile, che richieda un lavoro impegnativo di decodificazione, è
considerato dai docenti intervistati centrale per insegnamento. Si adottano
manuali con ricca documentazione, ma se ne fa un uso tradizionale, come,
del resto, rimangono fondamentali la lezione frontale e l'interrogazione,
senza altre forme di verifica. Sono ancora molti i docenti che hanno l'abitudine
di dettare appunti, come propongono una sintesi precostituita per gli studenti;
una minoranza si avventura nell'impostare l'approfondimento degli allievi
su altri testi, ma ritiene questa scelta difficilmente gestibile e controllabile
nei suoi risultati, soprattutto nelle scuole superiori.
L'insegnamento della storia appare ancora sostanzialmente contraddistinto
dalla conoscenza di eventi e di personaggi, senza alcuna riflessione sulle
radici storiche del presente. Ad esempio, soltanto il 17% dei docenti reggiani
dichiara di aver svolto tutto il programma e il 68% una buona parte; quasi
il 40% conclude l'ultimo anno con argomenti compresi tra gli anni '50 e il
presente.
Riguardo all'aggiornamento: i docenti sono più aggiornati nell'altra
loro materia di insegnamento, evidentemente quella preferita o ritenuta più
qualificante. I bisogni di aggiornamento espressi sono concentrati sugli
aspetti metodologici e didattici. e soltanto in seconda istanza sui contenti
della storia contemporanea.
E' invece totalmente escluso dagli interessi dei docenti delle superiori
l'aggiornamento sulla storia locale, (che si ritiene limitativa rispetto
ai grandi temi della storia generale), e sulla metodologia della ricerca,
considerando distinti il piano dello statuto scientifico della disciplina
e quello della storia insegnata.
La maggioranza degli intervistati a Reggio Emilia si pone l'esigenza che
gli allievi raggiungano la capacità di orientarsi nella realtà
contemporanea, ma, al contempo, non ritiene che essa sia acquisita alla fine
del ciclo degli studi.
A questo proposito, si può notare, da un lato, che quella competenza
è di grande complessità, perciò è molto complesso
il lungo processo storico attraverso cui è stata prodotta la realtà
presente, ma è anche una prospettiva di lavoro, per la quale i docenti
non possiedono strumenti adeguati e che molti di loro considerano ancora
un risultato irraggiungibile a scuola. Alcuni docenti sono consapevoli della
complessa articolazione della nozione di tempo storico, cioè della
diversità tra tempo degli eventi e tempo delle strutture e della
necessità di dare agli studenti strumenti concettuali e metodologici
di rifelimento. Il 59% dei docenti pensa, comunque, che sia possibile che
gli studenti acquisiscano capacità metodologiche attraversa lo studio
della storia. Ma sembra più un auspicio che una realtà.
In ultima analisi, partendo da un campione ristretto eppure significativo,
possiamo trarre una prima conclusione: l'insegnamento della storia è
ancora fortemente influenzato da una trasmissione tradizionale, una storia
fatta di avvenimenti, di personaggi dominanti e stereotipati, dove le fonti,
quando vengono usate, sono presentate a conferma dell'impostazione del manuale.
Il modello di insegnamento risulta conformato a un'informazione neutrale,
da cui è volutamente espunta la componente ideologica e politica,
che sono, in realtà, elementi utili a presentare i conflitti, a
problematizzarli, a proporre il confronto tra posizioni, con la finalità
di favorire nell'allievo la formulazione di un giudizio critico.
Le molteplici componenti storiche vengono spesse riassunte e semplificate,
con la compromissione di una visione adeguata della complessità e
della pluralità della storia, o meglio delle storie, al di fuori di
un coinvolgimento emotivo e intellettuale dell'esperienza degli studenti,
che rimangono ricettori passivi della lezione.
Viene così trasmessa un'idea di realtà, priva della politica
e quindi della storia e questo non aiuta i giovani a uscire dall'orizzonte
asfittico del presente.
Non credo che questo atteggiamento dei docenti sia soltanto effetto della
pratica tradizionale dell'insegnamento della storia, ma che esso sia indotto
anche da visioni del mondo, che mettono in discussione l'utilità stessa
della conoscenza storica e provocano uno straniamento dell'individuo dalla
storia. Infatti è noto che nell'universo culturale attuale, egemonizzato
dai saperi scientifici e dalle nuove tecnologie, il sapere storico è
fortemente svalutato. I docenti sono testimoni di questo tempo e anche su
di loro ha presa il sentimento oscuro dell'incertezza e
dell'imprevedibilità del futuro, la paura del cambiamento.
La riforma della scuola, in discussione oggi, intende proporre mutamento
radicale di prospettive e di strumenti formativi e, di conseguenza, anche
una trasformazione profonda della funzione docente e delle metodologie di
insegnamento/apprendimento. A detta del Ministro Berlinguer, questa riforma
è un processo ormai irreversibile del nostro presente, se si vuole
superare l'arretratezza della nostra scuola rispetto ai sistemi educativi
europei.
Il documento sui saperi fondamentali per la scuola dell'obbligo, presentato
a Roma dal Ministro Berlinguer il 20 marzo scorso, fa seguito ai documenti
della Commissione dei saggi del gennaio/maggio 1997, e a proposito della
storia dichiara: In ordine al fare storia nella scuola di tutti,
è necessario puntale coraggiosamente su un approccio che integri le
diverse dimensioni (disciplinari e metodologiche) e innovi le attuali pratiche
di memorizzazione, passando a sviluppare le competenze generali di inquadramento
e ricostruzione dei fatti storici, ma anche a promuovere capacità
di lettura dei segni che variamente caratterizzano il paesaggio rurale e
urbano del nostro paese.
In particolare per la storia contemporanea sottolinea che va tenuto presente
che il Novecento non si caratterizza solo per un insieme notevolmente complesso
di avvenimenti ma anche per l'affermarsi di ottiche, teorie, linguaggi assai
diversi da quelli tradizionalmente adottati dalla scuola. Il periodo successivo
alla seconda guerra mondiale, in particolare dal momento che ben si presta
a far cogliere ai ragazzi le dinamiche del cambiamento culturale, politico
ed economico, e le regole della convivenza sociale, potrebbe essere collegato
non solo alla storia e all'educazione civica, ma presentato come un approccio
multidisciplinare (quindi anche letterario, artistico
) teso a farne
cogliere i legami con il passato e con l'attualità, dunque come un
blocco tematico e non come oggetto specifico dell'analisi storica.
L'orientamento della riforma è, dunque, fortemente indirizzato a far
apprendete agli studenti delle abilità e delle competenze più
che una notevole quantità di contenuti nozionistici; a offrire strumenti
di conoscenza adeguati ad un apprendimento in continuo divenire. Si dà
rilievo anche alla visione d'insieme, alla definizione di un tessuto connettivo
tra i diversi saperi, che superi la definizione di interdisciplinarità,
attraverso la compenetrazione di discipline e di metodologie.
In specifico l'insegnamento della storia darà spazio allo studio delle
culture europee ed extraeuropee per favorire forme di intercultura, per
mantenendo un esplicito radicamento nella cultura nazionale, e consentirà
un approccio integrato per blocchi tematici, costituiti da diverse discipline
e metodologie.
In tale dimensione, credo vada riaffermata la valenza formativa della storia
e la sua funzione conoscitiva e etico-civile nella società postmoderna.
Non si può fare a meno della storia, non solo nel contesto culturale
ma anche nell'èsperienza individuale. E la storta contemporanea è
un laboratorio interessante per progettare un nuovo rapporto formativo tra
docenti e studenti e per sperimentare nuove metodologie e tecniche didattiche
atte a costruire conoscenze adeguate alle esigenze della nostra società
sempre più globalizzata e multietnica.
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