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LE SCUOLE E GLI EBREI (*)
di Piero Morpurgo 

Il mecenatismo educativo

L’opposizione al pluralismo religioso si scontrò con l’esaltazione della cultura nel mondo ebraico che trovò riscontro anche nell’usanza medioevale per cui, in Italia e in Spagna, le famiglie agiate impartivano ai loro figlioli lezioni private di materie non strettamente religiose, la tradizione voleva anche che ad ogni allievo benestante fossero affiancati uno o due coetanei di condizioni economiche più modeste. Fu proprio grazie a questo tipo di mecenatismo educativo che Abraham Ibn Ezra poté intraprendere gli studi nonostante le sue umili origini. Era questa l’espressione di quello spirito di ‘mutuo soccorso’ indirizzato anche verso l’infanzia che aveva caratterizzato gli ebrei e che aveva lasciato allibito lo storico Tacito (57 d.C-117) che si mostrava assai preoccupato per quello spirito di solidarietà che, a suo avviso, costituiva l’espressione di una profonda ostilità nei confronti di tutte le altre popolazioni: adversus omnes alios hostile odium.

La presupposta ‘asocialità’ degli ebrei costituì una costante della polemica antiebraica; eppure Filone aveva accusato violentemente il mondo greco e romano per la disumana pratica dell’infanticidio che rappresenterebbe non solo l’assassinio più abominevole, ma anche il segno di un intolleranza inaccettabile verso tutti gli esseri umani: "...Nessuno infatti è così pazzo da credere che coloro i quali hanno trattato in un modo così vergognoso la propria carne e il proprio sangue tratteranno poi con onore gli stranieri".

L’affermarsi di una concezione della vita ebraica che componeva il diritto dell’infanzia con quello dell’istruzione si indirizzò, nel contesto del Medioevo andaluso, con la tendenza ad organizzare attività di studio estremamente "aperte" allo studio della scienza e della filosofia giacche l’orientamento didattico si integrava con il formarsi di una classe dirigente ebraica all’interno del mondo ispano-musulmano. Tanta attenzione agli studi coinvolgeva anche le donne le quali, di conseguenza, rivestirono ruoli importanti sia in ruoli amministrativi sia in compiti culturali.

La posizione di Seneca, come quella di Tacito, fu ripresa ed enfatizzata da un allievo di Abelardo che, nel secolo XII, annotava: "se i cristiani educano i loro figli lo fanno non per Dio ma per guadagno affinché un fratello, divenuto ecclesiastico, possa aiutare il padre e la madre e gli altri suoi fratelli al contrario gli Ebrei, per l’entusiasmo di Dio e per l’amore della Legge spingono ogni figlio allo studio in modo che possano comprendere la Legge di Dio e ciò accade non solo per i figli, ma anche per le figlie".

La forza della tradizione educativa impressionò il filosofo del Paracleto. In genere non poteva non colpire quell’antico detto talmudico per cui si stabiliva: "Una città in cui non ci sono bambini che vanno a scuola sarà distrutta" (Talmud babilonese - Shabbath 119b).

 

(*) Tratto dal libro, Le Scuole e gli Ebrei di Piero Morpurgo, di prossima pubblicazione. L'articolo è stato pubblicato su Educazione e scuola alla pagina http://www.edscuola.com/archivio/didattica/scuolebrei.html

 

  

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